venerdì 17 aprile 2009

Breve sintesi

La rivoluzione francese si inscrive in una duplice continuità, nazionale ed europea, essa trasformò il sistema di potere, i contenuti e i metodi della politica, inventò nuovi miti, nulla nella storia della civiltà occidentale può a maggior ragione rivendicare il titolo di rivoluzione.

Le radici della "rèvolution" sono molteplici: la debolezza della monarchia francese, l'incapacità di risolvere la crisi finanziaria superando le resistenze di nobiltà e clero, ostili all'abolizione dei privilegi fiscali. Di fronte all'opposizione dei parlamenti Luigi XVI si rassegnò e decise la convocazione degli stati generali (non convocati dal 1614) per il maggio 1789.
Quando, avviati i lavori degli stati generali, il Terzo stato si autoproclamò Assemblea Nazionale, iniziò una rivoluzione istituzionale che il re fu costretto a riconoscere: la rappresentanza per ordini veniva meno, come richiesto dal Terzo stato, e nasceva la nuova Assemblea nazionale costituente. Il processo rivoluzionario subì un'accelerazione con l'Assalto alla Bastiglia il 14 luglio, con la nascità di nuove municipalità, la sollevazione delle campagne che spinse l'Assemblea a decretare l'abolizione del regime feudale, l'approvazione della Dichiarazione dei Diritti dell'uomo e del cittadino.
La requisizione dei beni ecclesiastici, infine, determinò la vendita di una consistente porzione del territorio nazionale, legando saldamente alla rivoluzione i nuovi proprietari.
A un anno dalla presa della Bastiglia l'ampiezza del consenso mascherava sensibili differenze politiche. I due maggiori problemi di questa fase furono legati all'opposizione di parte del clero al giuramento di fedeltà (stabilito dalla Costituzione civile del clero) e all'ostilità del re alle conquiste rivoluzionarie, reso evidente dal suo fallito tentativo di fuga.
Alla fine del '91 nessuna forza era in grado di imporre la propria egemonia: i moderati, che avevano la maggioranza all'Assemblea legislativa (apertasi il 1° ottobre); i giacobini attivi nei club; la corte e gli emigrati, che organizzavano la controrivoluzione incoraggiati da Austria e Prussia; i ceti popolari, mobilitati dal grave disagio sociale.
In questa situazione si vide nella guerra (dichiarata nell'aprile '92) una via d'uscita, sia pure per motivi opposti: il re per sconfiggere la rivoluzione, i girondini, il gruppo più attivo alla Legislativa, per diffondere gli ideali rivoluzionari.
Di fronte alle prime difficoltà militari, il popolo di Parigi insorse, con due manifestazioni alle Tuileries, avendo la meglio e determinando l'arresto del re (10 agosto 1792).
La grave situazione militare alimentò le voci di un complotto controrivoluzionario da cui trassero origine i "massacri di settembre", che rivelarono le potenzialità del radicalismo dei sanculotti.
Poco dopo la vittoria di Valmy sancì la nuova identificazione tra passione nazionale e ideali rivoluzionari (cui si legava una politica espansionistica). Il giorno successivo (21 settembre '92) venne dichiarata la decadenza della monarchia dalla nuova assemblea eletta a suffragio universale, la Convenzione nazionale (i cui lavori, fino al giugno '93, furono caratterizzati dalla lotta tra girondini e montagnardi).
Dopo il processo e l'esecuzione del re si accentuarono le ostilità esterne (altre potenze) e le tensioni interne (rivolta contadina in Vandea e rivendicazioni del popolo parigino), allora i deputati della Pianura si allearono con i Montagnardi, adottando una serie di misure radicali e istituendo il Comitato di salute pubblica.
Sconfitti i girondini, dal giugno '93 prendeva corpo la dittatura dei giacobini (che ormai si identificavano con i montagnardi), il cui principale esponente fu Robespierre.
La nuova Costituzione del '93 non entrò mai in vigore, fu invece instaurata una politica del terrore. Fu repressa l'insurrezione federalista e, sia pure provvisoriamente, fu domata la Vandea.
Se con il maximum di prezzi e salari i giacobini vennero incontro alle richieste dei sanculotti, tentarono anche di ridurre l'influenza del movimento popolare. Venne promossa una campagna di scristianizzazione, che portò all'introduzione del calendario repubblicano, alla celebrazione di feste laiche e al culto della dea Ragione e dell'Essere Supremo. La lotta del gruppo dirigente robespierrista contro le altre frange rivoluzionarie fece maturare la congiura termidoriana (luglio '94).
La Convenzione termidoriana smantellò le strutture della dittatura giacobina: fu attenuato l'accentramento dell'esecutivo e furono abolite le norme repressive su cui si era fondato il terrore, si introdusse la separazione tra Stato e Chiesa, fu abolito il maximum.
La stabilizzazione interna fu consolidata dai successi militari e da alcuni trattati di pace.
Una nuova costituzione proclamò la difesa del diritto di proprietà e accentuò il carattere censitario del sistema elettorale; fu creato un parlamento bicamerale e un Direttorio cui era affidato il potere esecutivo. La debolezza del nuovo regime costrinse il Direttorio ad una politica pendolare tra la destra filomonarchica e la sinistra giacobina (il cui gruppo più radicale, capeggiato da Babeuf, tentò nel '96 un'insurrezione). Il rafforzarsi della destra spinse la maggioranza del Direttorio ad un colpo di Stato (settembre '97) realizzato con l'intervento dell'esercito.
La guerra, l'uccisone del re e il Terrore ridussero notevolmente, in Europa, il numero dei sostenitori della rivoluzione. L'influenza della rivoluzione fu marcata in Belgio e Olanda, dove l'intervento francese portò nel primo caso all'annessione e nel secondo alla costituzione della repubblica Batava. In Italia si formarono vari club giacobini, duramente repressi dai governi.
Il Direttorio continuò nella politica di espansione in Europa, che univa il progetto di liberazione dei popoli ad obiettivi di sfruttamento economico. Nel 1796 Bonaparte ottenne il comando dell'armata d'Italia. I suoi rapidi successi costrinsero l'Austria alla pace. Con il Trattato di Campoformio (1797) gli Austriaci venivano compensati delle loro perdite con il Veneto, l'Istria e la Dalmazia (la Repubblica di Venezia cessò di esistere). A quel momento i francesi avevano in Italia il controllo diretto di Lombardia, Emilia e Romagna.
Lo sfruttamento dei territori italiani si legava al progetto della creazione di una serie di repubbliche "giacobine": nel 1796-1797 la Repubblica cispadana (Emilia e Romagna), che si fuse poco dopo con la Cisalpina (Lombardia), e la Repubblica ligure; nel 1798 la Repubblica romana (Lazio, Umbria, Marche); nel 1799 la Repubblica Partenopea. Queste Repubbliche ebbero costituzioni moderate e i loro organi legislativi e di governo furono soggetti al controllo francese.
Mentre l'instabilità politica caratterizzava la situazione interna francese, Bonaparte organizzò una spedizione in Egitto (1798) per colpire gli interessi commerciali inglesi. Le sconfitte militari provocarono una ripresa dell'attività giacobina in opposizione al Direttorio. La situazione di crisi politica si risolse attraverso il colpo di Stato del 18 brumaio (9 novembre '99), che - ideato da Sieyès - potè realizzarsi solo grazie all'intervento militare di Bonaparte.

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